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La domanda che Facebook ci fa è cosa stai pensando. Una domanda aperta, che ti invita a rivelare il pensiero del momento, quasi dell'istante, senza limiti, nella libertà più assoluta.
Le risposte a tale domanda sono le più varie, una fotografia, un ricordo, una frase, una poesia, un scritto, un brano musicale, un'esperienza di vita, un video comunque un un simbolo proiettato nella storia, in qualunque settore della nostra vita, nell'assoluta libertà di stabilire la quantità di parole ritenuta necessaria per esprimere ciò che si vuole comunicare.
In definitiva è un invito a comunicare.
E' come lanciare un sasso nello stagno piccolo o grande che sia.
L'evento è proporzionato: onde grandi se il sasso è grande, onde piccole se il sasso è piccolo.
La risposta se ti fosse rivolta da un conoscente, sarebbe di cortesia e come tale non rivelerebbe il tuo stato d'animo, diversamente se non lo cosci sarebbe in genere di sintetizza in “sono fatti miei”.
E' una domanda comune, dove il pensiero diventa parola comunicata.
Dove ognuno condivide emozioni, ma anche il pensiero razionale, direi normale.
Simboli della realtà, a cui ognuno di noi assegna un significato: ci sono, sono vivo in questa realtà, ma anche nel ricordo di chi mi fa vivere, è l'esserci in questo mondo.
E' la testimonianza del nostro esistere e lo comunico.
Il simbolo, quindi, ha una sua coscienza, quella della realtà.
Perché svanisce il pensiero, nella parola che conduce il simbolo, trasformandolo in sostanza.
Ciò che svanisce, rimane come sostanza, per lasciare il posto ad una forma nuova: il ricordo come linguaggio dell'esperienza.
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