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Logica dell'ingiustizia abuso della ragione

Logica dell'ingiustizia abuso della ragione è l'ultima opera (2020) di Pasquale Melissari da cui prendiamo il titolo del nostro intervento per affermare come fa l'autore, che l'esperienza dell'ingiustizia, è svolta all'interno delle istituzioni, in particolare quando nel sistema giustizia il formalismo, comprime il diritto del cittadino a ricevere una risposta di giustizia, che non ottiene, per esempio per l'abuso dello strumento dell'inammissibilità, che in particolar modo oggi, caratterizza il processo di legittimità davanti la Suprema Corte di Cassazione, che forse ironicamente andrebbe denominata "Corte Suprema di inammissibilità".

Per esempio, ci si domanda: la sussunzione della fattispecie concreta nella espressione il danno è in re ipsa, secondo standard conformi ai valori dell'ordinamento (cfr. principio di effettività e principio di certezza), che trovano conferma nella realtà sociale (cfr. interesse attuale e concreto), è sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato?

Sicché è praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. Civ., nei casi in cui gli standard valutativi, sulla cui base è stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell'ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, o si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente?

Orbene, superata la fase regolata dal principio di autosufficienza del ricorso, la risposta sarebbe negativa, perché il ricorso sarebbe di per sé inammissibile, per la mancanza della dimostrazione della violazione di legge.

E' come affermare: “hai bussato due volte alla porta della giustizia, ma dovevi bussare tre volte, perché la porta si aprisse” - logica dell'ingiustizia - “ma comunque pur non aprendosi la porta dal suo interno c'è qualcuno che comunque domanda convenzionalmente chi è, senza null'altro profferire”, - abuso della ragione -.

Quindi non è sufficiente, il perimetro normativo e giurisprudenziale entro cui viene svolto il ragionamento di doglianza, perché sempre e comunque gli enunciati sopra indicati, non sono giuridicamente veri e quindi la risposta di giustizia è: chi è senza null'altro pofferire!.

Altra domanda: non sarebbe più semplice argomentare su quale significato assegnare all'enunciato “il danno è in re ipsa”, e di conseguenza quale significato assegnare all'espressione la prova del danno è in re ipsa”, il richiamo naturalmente qui è al diritto probatorio ed alle presunzioni, senza la necessità di effettuare alcuna sussunzione.

Infatti non occorrerebbe alcuna sussunzione concreta od astratta, perché sotto il profilo del sillogismo giuridico, l'enunciato “il danno è in re ipsa”, così anche la prova del danno è in re ipsa, costituisce il termine medio del sillogismo ed è la connessione necessaria tra i due estremi.

Sicché il danno conseguenza quando è provato, anche con le presunzioni esso è in re ipsa, tant'è che spesso si dice che il danno è "in re ipsa", proprio ad indicare effettivamente e concretamente, che non è richiesta una prova del danno, in quanto lo stesso fatto, è di per se considerato per natura un danno, perché è costituito nella realtà e quindi vero, dalla prova logica.

Il giusto processo, infatti non è solo quello che ha una ragionevole durata, ma sopratutto quello che riconosce che l'essere umano crea e ricrea se stesso non biologicamente, ma nella comunità in cui vive, e la giustizia non solo è una parola pensata, ma anche e sopratutto una parola pronunciata, quindi riconosciuta, perché se così non fosse, il solo formalismo che caratterizza il disordine intenzionale, più che l'ordine funzionale, produrrebbe sulla scia del senso comune l'abuso della ragione, obliterando il buon senso.

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