Hume riteneva, che se nessuna ingiustizia ci preoccupasse, non avremmo alcun motivo di riferirci alla giustizia e nemmeno la necessità di sognarla.
La domanda di fondo è stabilire, se è pensabile di concretizzare l’idea e il sentimento di giustizia, al confine estremo dell’ingiustizia.
Ricordate, nell'arte l'impressionismo, mantiene la costruzione prospettica, ma rende conto dell'insieme; la cura del particolare non è necessaria.
Queste innovazioni, risalenti già a Corot, comunque non emancipano dalla rappresentazione della natura, come avverrà con l'espressionismo.
Pur dipingendo figure tratte dall'esperienza, gli artisti di questo movimento non si cureranno più di riprodurle verosimilmente, ma useranno forma e colori per esprimere i loro stati d'animo.
Il distacco del linguaggio pittorico dalle fogge naturali, diviene ancor più significativo col cubismo e, infine, trionfa con l'astrattismo: l'artista non si sente legato alla percezione delle cose, vuole creare egli stesso una realtà che prima del suo intervento non esisteva; per comunicare sensazioni e sentimenti, sono sufficienti le forme astratte.
Si è adottata, quindi, una tecnica impressionista, sviluppando ogni argomento senza scendere nei particolari, fornendo gli elementi creduti sufficienti a rappresentare le idee portanti del discorso.
La tecnica impressionista del diritto, nel processo è rappresentato dal principio della ragione più liquida, secondo cui la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. n. 2872/2017, Cass. n. 17214/2016, Cass. n. 5724/2015, Cass. Sez. Un. n. 26242-3/2014, Cass. n. 12002/2014, Cass. Sez. Un. n. 29523/2008, Cass. Sez. Un. n. 24882/2008, Cass. n. 21266/2007, Cass. n. 11356/2006).
Ciò è suggerito, secondo anche la giurisprudenza di merito, dal principio di economia processuale e da esigenze di celerità e speditezza anche costituzionalmente protette; ed è altresì conseguenza di una rinnovata visione dell’attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte, ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli (in questi termini, per tutte Cass. Sez. Un. n. 24883/2008).
Infatti, la sentenza, quale atto giuridico tipico, non ha il compito di ricostruire compiutamente la vicenda, che è oggetto del giudizio in tutti i suoi aspetti giuridici, ma solo quello di accertare, se ricorrano le condizioni per concedere la tutela richiesta dall’attore; consegue che la decisione, può fondarsi sopra una ragione, il cui esame presupporrebbe logicamente, se fosse, invece, richiesta una compiuta valutazione dal punto di vista del diritto sostantivo, la previa considerazione di altri aspetti del fatto stesso.
Ecco che, la funzione giurisdizionale non è violentata solo dall’essere resa oltre i limiti della ragionevole durata, ma anche dall’essere resa con superficialità dell'impressionista.
La superficialità dell'impressionista, però infrange l’eguaglianza delle parti nel processo, perché costituisce rara eccezione che una domanda possa esser accolta con superficialità, mentre costituisce la regola, che la superficialità porti a respingere la domanda.
E tutto ciò oggi assume un significato ancor di più rilevante, atteso che il legislatore anche lui aderendo a tale tendenza impressionista, ha limitato l’obbligo di motivazione dei provvedimenti nonché le possibilità di impugnazione delle decisioni in punto di motivazione.
Dunque, la superficialità è grave, non tanto perché rende una decisione scadente, ma soprattutto perché rompe il principio di parità tra le parti nel processo (cfr. attore e convenuto).
Il principio in predicato, si dice aderente a esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzate dall'art. 111 Cost., e altresì rispettoso del principio di eguaglianza delle parti nel processo, poiché la semplificazione della decisione potrebbe cadere indifferentemente a pregiudizio di una qualsiasi delle parti.
In realtà, però, è evidente, che il giudice applicherà la regola della cd. “ragione più liquida” quando abbia da respingere la domanda, non quando pensi di poterla accogliere, poiché se ritiene che la domanda possa essere accolta, allora non potrà non esaminare in modo esaustivo le difese al fine di accertarsi, che non vi siano ragioni ostative al successo dell’attore (cfr. Cass., 15 marzo 2017, n. 6672, Cass., Sez. un., 8 maggio 2014, n. 9936; Cass., Sez. un., 18 novembre 2015, n. 23542, Cass., 19 agosto 2016, n. 17214,Cass., 18 novembre 2016, n. 23531).
Eguale riflessione, può darsi con riferimento al principio c.d. di “assorbimento”.
Nel processo, l’attore fa valere una o più domande, il convenuto una o più eccezioni.
Il giudice, però, non è tenuto a pronunciare su tutte le domande e tutte le eccezioni, poiché potrà non pronunciare sulle domande e sulle eccezioni, che riterrà assorbite con la decisione assunta (vds. Cass., 25 agosto 2016, n. 17328).
In sostanza, accolta o rigettata una domanda o una eccezione, il giudice potrà non pronunciare sulle rimanenti domande o sulle rimanenti eccezioni che riterrà assorbite da quella decisione.
Ma anche ciò varrà, soprattutto, in caso di rigetto cd. “implicito”, che si ha quando la pretesa avanzata non espressamente esaminata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., 6 febbraio 2015, n. 2197; Cass., 17 gennaio 2014, n. 841; Cass., 19 settembre 2013, n. 21482).
La vera riforma del processo, dovrebbe essere quella in cui un giudice terzo eserciti giustizia e non che la sua attività giurisdizionale, sia formalmente orientata alla tutela dell’atto giudiziario, richiesto dalle parti secondo la loro posizione nel processo, in quanto questa potrebbe assumere una forma di superficialità logica, espressione di una semplice burocrazia giudiziaria, orientata a denegare giustizia, che è anch’essa una forma di ingiustizia, più che a rendere giustizia.
Tutti impressionisti? No! forse tutti astrattisti!
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